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  • Responsabilità amministrativa 231 a seguito di lesioni colpose

    Il caso studio

    Con la sentenza n. 29584 del 26 ottobre 2020 la Sezione IV penale della Corte di Cassazione affronta nuovamente il tema della ricostruzione dell’interesse dell’ente nei reati colposi in materia di sicurezza sul lavoro, interesse che ricorre quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di far conseguire un’utilità alla persona giuridica.

    La società Alfa commissionava alla società Beta la realizzazione di lavori di costruzione di un capannone, da eseguirsi sulla base di progetto realizzato dall’appaltatrice Beta e piano di sicurezza congruo alle lavorazioni da eseguire.

    Il legale rappresentante della società Alfa, tramite il proprio uomo di fiducia e gerente di fatto Sig. X, giunti ad una certa progressione dei lavori, senza avvisare l’appaltatrice Beta e senza comunicare alcunché né al Direttore dei lavori né al coordinatore per l’esecuzione dei lavori, chiama ad intervenire nei lavori la Ditta Gamma, al fine di far eseguire più celermente il lavoro di realizzazione di un solaio all’interno del capannone tramite un intervento di rimozione di pannelli dal tetto per consentire il passaggio di un braccio di un’autopompa per la gittata del cemento all’interno.

    La Ditta Gamma, in assenza di contratto alcuno con Alfa, manda nel cantiere alcuni suoi lavoratori. Due di questi salgono sulla copertura del capannone, dalla quale vengono rimossi due pannelli, camminando sulle travi portanti senza indossare imbragature di ancoraggio e cinture di sicurezza. In seguito, uno dei pannelli cede e i due lavoratori precipitano nel solaio sottostante da un’altezza di circa 3 metri riportando gravi lesioni.

    La sentenza

    Il Tribunale in primo grado e la Corte d’Appello in secondo grado condannano Alfa e Gamma per responsabilità amministrativa d’impresa di cui al D.Lgs. 231/2001, per essere venuti meno al rispetto delle più elementari regole cautelari al solo fine di accelerare l’esecuzione dei lavori mediante un intervento non progettato nè programmato, al fine di risparmiare sui tempi definiti nel progetto originario della società appaltatrice Beta.

    La società Alfa contesta la legittimità della condanna ai sensi del D.Lgs. 231/2001, condanna che i Giudici di primo e di secondo grado avrebbero ricollegato e fatto conseguire all’iniziativa estemporanea del Sig. X che aveva richiesto l’intervento della Ditta Gamma senza nemmeno verificarne i requisiti.

    Secondo la ricorrente Alfa non sarebbe stato dimostrato che il fatto sia stato commesso nell’interesse della società. Alfa sostiene che ai fini della responsabilità della società per il fatto commesso dal Sig. X è necessario provare che il fatto sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio della società e inoltre che la condotta imputata all’autore del reato sia espressione di sistematica violazione di regole cautelari, consapevolmente assunta quale politica di impresa.

    La Corte di Cassazione rileva innanzitutto come la sistematicità delle violazioni alla normativa anti-infortunistica non sia richiesta dal disposto normativo per poter configurare la responsabilità in capo all’impresa, nulla prevedendo sul punto l’art. 25 septies del D. Lgs. 231/2001.
     

    Pur essendo principio consolidato che l’ente non risponda in virtù del mero rapporto di immedesimazione organica del soggetto agente, richiedendosi invece che il soggetto abbia agito nell’interesse o a vantaggio dell’ente e non solo approfittando della posizione rivestita, sarebbe scorretto ritenere irrilevanti tutte quelle condotte connotate da intenzionalità ma, in quanto episodiche e occasionali, non espressive di una politica aziendale di sistematica violazione delle regole cautelari.
    La Corte di Cassazione conclude rilevando come il criterio di imputazione della responsabilità della società Alfa sia stato correttamente individuato nella riduzione dei tempi di esecuzione dei lavori di costruzione del capannone, in spregio alle più elementari norme di cautela approntate dall’ordinamento, fine al quale è stata ispirata la condotta degli agenti, Sig. X e legale rappresentante della società Alfa.

    Mentre in capo alla Ditta Gamma il criterio di imputazione della responsabilità è stato individuato nel vantaggio di poter fruire direttamente di una commessa cui era estranea per contratto, senza accollarsi i costi di gestione derivanti dal rispetto della normativa antinfortunistica.
    La Corte rigetta dunque il ricorso della società Alfa, confermando la precedente sentenza e condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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    Patrizia

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